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Kadath, lavoro originale

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Discepolo dell'Arvadan
icon11  view post Posted on 13/2/2010, 10:33




Due parole prima di cominciare.
Me l'ha detto Elgard di metterlo qui, quindi al limite prendetevela con lui. Io sono piccolo indifeso e vittima delle circostanze.
Più o meno.

Comunque. Questo è un "breve" racconto scritto da me...ambientazione fantasy originale, è una parte un po' "in medias res" quindi forse non del tutto comprensibile, se avete domande chiedete pure e vedo di favi chiarezza.
Lo metto a capitoli, andiamo con l'inizio:


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...“Cosa c’è, Vartan, non ti piace il freddo?”.
Il gatto lo guardò con l’espressione di chi avrebbe molto da dire, se solo potesse parlare. Delta sorrise.
“Siamo quasi arrivati... guarda, laggiù c’è il villaggio...”.
Definire ‘villaggio’ quel cerchio di case nel nulla delle distese gelate del Sud era quanto meno azzardato, ma Vartan non ci fece troppo caso. La creatura in forma di gatto era nata molto più a nord, nella foresta, ed era cresciuta tra le ombre degli alberi. Il ghiaccio e la neve su cui camminava da giorni non la mettevano affatto a suo agio. Soprattutto, odiava il sole a picco tutto il giorno, senza neppure un’ombra... per sua fortuna, almeno c’era il vento...
Man mano che si avvicinavano, i puntini neri delle case si fecero più distinti. Gli occhi acuti del gatto e dell’uomo distinsero una dozzina di costruzioni in cerchio, e una casa solitaria, più lontana. Verso di loro, invece, si trovavano chiazze di... verde?
Delta portò una mano alla fronte per ripararsi dal sole. Era proprio erba, sulla quale pascolavano grosse creature simili a bufali.
Dovettero avvicinarsi molto prima di essere visti. Per ovvi motivi, la gente del villaggio non era abituata alle visite inattese.
Avevano superato i primi animali quando il villaggio li accolse. Una ventina di cacciatori li aspettava presso le case, alle spalle di un uomo anziano, avvolto in pesanti pellicce.
“Benvenuto, mio Signore” il vecchio si chinò fin quasi a terra, salutandolo nella lingua del luogo “Perdonateci se abbiamo così poco da offrirvi... non vi aspettavamo...”.
Quando rialzò gli occhi, Delta colse un movimento strano, una luce che conosceva.
Paura.
Paura. E per quale motivo?
Si accorse solo allora che lo sguardo del vecchio guizzava di tanto in tanto verso Vartan, seduto sulla neve ad un passo da lui, ed in quel momento troppo occupato a sbadigliare per pensare ad altro.
Paura... di un gatto?
Si guardò intorno. Alcune delle case, notò, sembravano essere abbandonate da molto tempo... no, non erano solo i segni del tempo quelli che vedeva... era successo qualcosa a quelle case... qualcosa di violento...
“Mio Signore?”.
Si riscosse, tornando a rivolgersi al vecchio.
“Perdonatemi” esordì, sorridendo ed inchinandosi profondamente “non era mia intenzione recarvi disturbo... vi ringrazio per l’ospitalità, e spero che troverò il modo di restituire il favore...”.
Sollevò lo sguardo. Gli uomini si guardavano, confusi. La velata ostilità che percepiva fino ad un momento prima si era mutata in stupore.
“Voi... non siete...” balbettò il vecchio.
“L’uomo che è venuto prima di me” Delta non sorrideva più “conoscete il suo nome? Era... Gilliard? Gilliard de Rose?”.
Il volto degli uomini rispose per loro.
“Mi dispiace per ciò che è accaduto. In parte è colpa mia. Sappiate che farò tutto ciò che è in mio potere per riparare al male che vi ha fatto. Per ora, posso dirvi che Gilliard de Rose è morto”.
“Morto?” uno degli uomini si fece avanti. Era giovane, alto, molto robusto. In qualche modo somigliava al vecchio, probabilmente era suo figlio. “I demoni dell’Inferno non muoiono. Chi dice di averlo ucciso?”.
Delta lo fissò negli occhi.
“Io”.
Il giovane sostenne lo sguardo.
“Puoi provarlo?”.
Il vecchio lo afferrò per il braccio.
“Ora basta, Settima Luna! Lo straniero dice il vero” si voltò verso Delta “l’ho visto nei suoi occhi. Io gli credo”.
Fece un passo avanti.
“Io sono Primo Inverno, straniero. Padre di questo villaggio, e di Settima Luna il frettoloso e l’impudente” scoccò un’occhiataccia al figlio “e di Stella d’Inverno... che la mano del nostro nemico mi ha strappato...”.
Delta sorrise.
“Il mio nome non vi direbbe nulla, temo. Chiamatemi Vento... no, meglio... chiamatemi Ombra che Cammina... chi mi conosce capirà...”.


“Arrivò tre estati fa” esordì Primo Inverno “da solo, dal nulla. Cercava una città, diceva...”.
Delta annuì da dietro una tazza di infuso bollente. Nella capanna del capo villaggio il clima era decisamente migliore.
“Io lo guardo negli occhi e non mi piace. Nasconde qualcosa, penso. Mio padre mi ha dato il mio nome, Primo Inverno, perché è dal primo inverno che si vede di cosa è fatto un uomo, o una donna” bevve un sorso dalla sua tazza “E a me gli Dei hanno concesso un dono, il dono di capire cosa sono le persone che incontro. E lui non era buono. Era marcio dentro, figlio mio...” fissò Delta negli occhi “Anche tu nascondi qualcosa, lo vedo bene. Una ferita profonda, più di una. Ma di te non ho paura... di te sento che posso fidarmi...”.
Delta tacque. Sentiva lo sguardo di Primo Inverno e di suo figlio fissi su di lui.
“Lui non mi piaceva” riprese il vecchio “ma mi faceva paura. Gli Dei sanno se avevo ragione! Così lo portai” la sua voce divenne un sussurro “da Voce nel Vento... e lui lo condusse dove voleva... lui solo conosce la strada...”.
Tacque, il volto nascosto tra le mani.
“Pregai che non tornasse più. Molti hanno percorso quella strada, ma nessuno era mai tornato, salvo Voce nel Vento... e anche lui... ma quel demonio... quando ormai pensavamo che fosse sparito tornò, con quella... bestia...” i suoi occhi guizzarono verso Vartan, steso immobile accanto al fuoco.
“Voleva che lo seguissimo verso la città, ma noi rifiutammo. Fu allora che si rivelò...” Primo Inverno chinò il capo “Diede fuoco alle case, alle bestie, a tutto... e poi... quando provammo a... combattere...”.
La sua voce si ruppe in singhiozzi. Settima Luna gli cinse le spalle con il braccio robusto.
“Sarai stanco, straniero” disse, rivolto a Delta “puoi prendere la capanna qui di fianco. Era libera per... lui. È pronta per te, ora...”.


Vartan lo svegliò molto presto, ricordandogli il suo dovere. Delta lo afferrò per la collottola, sollevandolo di peso dal suo viso.
“Ascolta, Vartan” disse, serio “il fatto che tu abbia la forma di un gatto non ti autorizza a...”.
“Parli con le bestie, straniero?”.
Delta si voltò di scatto, incontrando lo sguardo di Settima Luna.
“La bestia non è una bestia comune e capisce molto bene ciò che le dico, Settima Luna. Come posso aiutarti?” disse, posando a terra Vartan.
“Per ora voglio solo parlare, straniero” esordì il giovane “hai visto mio padre. È saggio, ma vecchio. Il corpo si stanca presto quaggiù. Non chiedergli troppo”.
Delta annuì, apprezzando la diplomazia che Settima Luna cercava di mettere nelle parole.
“E poi” proseguì “sappi che qui gli Dei non sono generosi. Quando ero piccolo, mia madre mi raccontava delle storie su pianure verdi, dove il cibo cresce quasi da solo, ed è sempre abbondante. Beh, qui non è così. Mio padre e noi tutti ti accogliamo volentieri, ma sappi che non ci costa poco. Qui... che cos’è?”.
Aprì il sacchetto che Delta gli porgeva. Era piuttosto pesante, almeno tre chili. Dentro, grani di una sostanza bianca.
“Sale”.
Settima Luna lo guardò negli occhi.
“Straniero” disse piano “Tu sai che...”.
“Non sono qui per passare il tempo, Settima Luna. Nè mi piace presentarmi in una casa a mani vuote. So quanto sia prezioso il sale, qui. Io non vi chiedo doni, non voglio essere un peso. Renderò più di ciò che prendo”.
Il giovane sostenne il suo sguardo.
“Non credere che basti un sacchetto di sale per provarlo, straniero”.
Delta sorrise.
“Non lo penso affatto. Ti capisco, figlio del capo. Mettimi pure alla prova”.

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Si continua su richiesta.
 
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Robibi
view post Posted on 16/2/2010, 16:52




Adesso voglio sapere come va avanti!
 
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Discepolo dell'Arvadan
view post Posted on 18/2/2010, 09:06




Eseguo.

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Settima Luna non perse tempo. Al villaggio c’era sempre molto lavoro da fare, e delle braccia in più erano benvenute. Oltre alla cura degli yak, i grossi animali che Delta aveva intravisto il giorno prima, di cui si occupavano soprattutto le donne, e alla riparazione delle case di legno, che dovevano essere mantenute sempre in perfetto stato, i compiti più importanti erano lo scioglimento del ghiaccio e... la raccolta di legna.
Già dal suo arrivo, Delta si era chiesto con cosa quelle capanne fossero state costruite. Lo scoprì il primo giorno: a poca distanza dal villaggio, nascosto dietro una collina coperta di neve che lo riparava dal vento e dalla vista, in mezzo ai ghiacci si trovava, assurdo, un bosco.
Delta rimase allibito.
Chiese spiegazioni, ma Settima Luna lo liquidò con un brusco “Crescono da soli. Crescono e basta. A noi va bene così”.
Alla prima occasione, durante la pausa che gli uomini si concedettero per il pranzo, Delta tornò nel bosco.
Abeti tra i ghiacci, pensò. Assurdo. Impossibile.
Si addentrò nel boschetto. Gli alberi avevano qualcosa di insolito, riflettè. Erano molto più scuri degli abeti normali, ed il loro legno era durissimo, tanto che le asce lo incidevano a fatica.
Improvvisamente, percepì una presenza tra le ombre alle sue spalle.
Senza voltarsi, cercò di capire di chi si trattava. Non era aggressivo, capì. Questo escludeva qualunque animale... e anche Settima Luna. Pareva piuttosto incuriosito...
Sorrise.
“Per quanto vuoi stare ancora lì nascosto?”.
Il ragazzo fece un passo avanti, uscendo dall’ombra. Magro, un fisico che anche sotto i pesanti vestiti mostrava la promessa di un cacciatore. Doveva avere tra i tredici ed i quattordici anni.
“Da quanto sapevi che ti guardavo?”.
Delta si voltò.
“Da quando sei entrato nell’ombra. Cosa stai cercando?”.
Il ragazzo esitò. Poi disse:
“Sei tu Ombra che Cammina?”.
Domanda retorica. Delta annuì.
“Perché ti chiami così?”.
“Per farvi capire” sorrise il viaggiatore “E tu come ti chiami?”.
Il ragazzo continuò a fissarlo.
“Sono il figlio di Lama Sicura. E non ti capisco. Cosa cerchi nel bosco?”.
“Non mi hai ancora detto il tuo nome”.
Il ragazzo scosse la testa.
“Me lo daranno solo dopo la prima caccia. Solo quando sarò un uomo. Prima di allora non serve, e potrebbe non essere quello giusto. Mio padre dice che potrebbe essere già l’anno prossimo”.
Tacque, in attesa. Delta si voltò di nuovo verso il bosco.
“Cerco quello che cerco sempre: un motivo. Perché c’è un bosco in mezzo al ghiaccio? Perché solo qui? Anzi, perché a macchie, qui un bosco e al villaggio erba? Che cosa c’è qui di... diverso?”.
Si rivolse di nuovo al ragazzo, una strana espressione negli occhi.
“Tu lo sai, forse?”.
Il ragazzo si ritrasse, come spaventato.
“Parli come lui” mormorò “come...”.
Delta chinò il capo.
“Scusami” disse piano “eravamo simili, tanto tempo fa... compagni...”.
Tacquero entrambi per un momento, imbarazzati. Poi, il ragazzo ruppe il silenzio.
“Le pietre...”.
Delta sollevò gli occhi, interessato.
“Le pietre?”.
Il figlio di Lama Sicura annuì.
“Mio nonno mi raccontava spesso la leggenda delle pietre nere che vincono il ghiaccio” continuò “ce n’è sempre almeno una nei cerchi d’erba”.
Vero, riflettè Delta. Le aveva notate. Pietre scure, scabre, sempre approssimativamente al centro delle zone dove il ghiaccio cedeva il posto all’erba ed al muschio. Le aveva prese per una forma di superstizione, e non aveva avuto il tempo di chiedere spiegazioni a nessuno, prima di allora.
“Parlami di queste pietre”.
Il ragazzo si sedette su di un sasso.
“Gli anziani raccontano tante storie su queste pietre nere. Dicono che è grazie a loro che noi possiamo vivere qui, che sono un dono della Dea. I cacciatori degli altri villaggi a volte vengono fino a qui, e raccontano che le piste dei Mumak...”.
S’interruppe, notando lo sguardo interrogativo di Delta.
“Giusto, non sai cosa sono i Mumak. Ecco, pensa a...”.
Si sforzò di trovare un esempio.
“Uno yak. Immagina uno yak alto come una capanna... no, di più, col pelo nero lungo, le zampe grosse, e due zanne lunghe come tre uomini, curve, così”.
Tentò di mimarlo, accostando le braccia alla bocca.
“E con una specie di braccio al posto del naso, come... come...”.
Delta inclinò il capo.
“Come un elefante”.
Il ragazzo battè le palpebre, perplesso, ma Delta gli fece cenno di continuare la storia.
“Le loro piste, dicevo, vanno da una valle d’erba all’altra, e qualcuno dei cacciatori più coraggiosi dice che ha percorso tutta la pista, e che è tornato al punto di partenza. È un cerchio, capisci? Come un enorme cerchio di pietre”.
Ed al centro, pensò Delta, che cosa c’è?
Riflettè un istante. Se una pietra di medie dimensioni poteva permettere all’erba di crescere, non pareva capace di far nascere un bosco. Ma allora...
“Ragazzo” disse “sai dove si trova la pietra, in questo bosco?”.
Il figlio di Lama Sicura sorrise.

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Robibi
view post Posted on 21/2/2010, 18:45




e ora il seguito... :D
 
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Discepolo dell'Arvadan
view post Posted on 23/2/2010, 12:23




...io vado avanti...pero' lascia un commento un po' piu' articolato, su :P


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Arrivarono alla radura in poco tempo. Al centro del bosco, gli alberi sparivano d’improvviso, lasciando il posto all’erba ed ai rovi. Al centro della radura, un gruppo di pietre nere, lucide, dai bordi affilati, conficcate profondamente nel terreno gelato.
Schegge?
Delta si avvicinò. C’era qualcosa di innaturale in quei monoliti. La loro superficie era tiepida, di un calore che a tratti pareva quasi pulsare, quasi... quasi come qualcosa di vivo. Riconobbe subito il tepore del Mana.
Mana, certo. Per qualche strana ragione, le pietre ne erano ricolme. Ecco cosa scioglieva il ghiaccio, ecco cosa nutriva le piante.
Ma allora, perché gli alberi si diradavano attorno a loro?
“Hai visto qui?”.
Delta si chinò, per osservare ciò che il ragazzo gli indicava. Quasi non credette ai suoi occhi.
Rune. Quelle rune...
Si voltò verso di lui.
“Le avete fatte voi?”.
Il ragazzo alzò le spalle.
“Nessuno qui sa leggerle. Tu sei capace?”.
Delta sfiorò la superficie. Le rune scintillarono di un debole alone rosso, percependo il suo tocco.
Ottime, riflettè. Antichissime.
“Sai leggerle?”.
Delta lo guardò negli occhi. Indicò una delle rune.
“Questa è... la runa per dolore. Questa è eternità. Questa significa viaggio. Ma sono solo frammenti...”.
Cercò ancora tra le pietre, ignorando lo stupore del ragazzo, sperando in una frase più articolata.
Non fu una ricerca lunga. Presto trovò una superficie più ampia, liscia, con molti frammenti illeggibili ed infine una frase...
“Che stai facendo qui, straniero?”.
La voce di Settima Luna lo riportò al mondo. Pareva seccato. Molto seccato.
“Ti ho cercato per tutto il villaggio. Abbiamo finito il pranzo da un pezzo”.
Delta si alzò.
“Perdonami” disse “prometto che non sparirò più. Grazie, ragazzo” aggiunse, rivolto alla sua guida.
Ma il figlio di Lama Sicura era già sparito. Settima Luna gli scoccò un’occhiataccia, poi si incamminò verso il villaggio.
Prima di seguirlo, si voltò un’ultima volta verso il gruppo di pietre, verso le rune che vi aveva letto.
“... e sappi che questo non è che l’inizio; molto, molto altro ti...”.


Primo Inverno lo guardò negli occhi, cercando di sondare la sua anima.
Invano.
“Tu vorresti” disse piano “vedere i Mumak...”.
Delta sorrise.
“Non per divertimento, Primo Inverno. So cacciare, nelle mie terre ho catturato bestie di ogni genere. Potrei imparare qualcosa, ed esservi di aiuto. Posso...”.
Primo Inverno sollevò una mano.
“Tu non mi hai detto perché sei qui, Ombra che Cammina, ed io non te l’ho chiesto, perché ho deciso di fidarmi di te. Ma di una cosa sono sicuro...” espirò “non sei qui per cacciare Mumak”.
Tacque, aspettando la sua reazione.
Delta fissò il vecchio negli occhi. Occhi chiari, profondi.
Quanto poteva dirgli, quanto doveva nascondergli?
“Voglio vedere la loro pista. Voglio vedere i loro pascoli”.
Primo Inverno sorrise.
“E speri di trovarci qualcosa. Qualcosa che per te ha un valore...” si fermò per un istante, riflettendo “Sei fortunato, Ombra che Cammina. Abbiamo bisogno di carne. Lama Sicura guiderà i cacciatori, partono domani. Devi convincere loro, non me...”.


Lama Sicura arrivò poco dopo. Mentre il vecchio capo villaggio gli spiegava la situazione, lui e Delta ebbero modo di studiarsi a vicenda.
Il cacciatore era alto e muscoloso, il volto duro segnato dalle intemperie e dalle estenuanti cacce. Era un uomo che probabilmente, in un altro clima, sarebbe diventato il campione di qualche signore della guerra, o di qualche monarca.
Qui, era il capo dei cacciatori. Sentito il suo nome e incrociato il suo sguardo, si aveva l’impressione di sapere già come comportarsi con quell’uomo.
Cosa Lama Sicura pensasse dello straniero, per ora restava nascosto nei suoi occhi di ghiaccio.
Quando Primo Inverno ebbe finito, il cacciatore si rivolse a Delta.
“Sei venuto fino a qui da solo, straniero?”.
Delta si prese un istante per rispondere. Gli sembrò di cogliere una sfumatura di rispetto, nella voce di Lama Sicura.
“Solo con Vartan”.
Il quale si stava in quel momento rotolando nella neve, poco lontano. Il cacciatore lo osservò per alcuni istanti, in silenzio, poi si rivolse di nuovo a Delta.
“Seguimi”.
Non fecero che pochi passi, fino ad un tronco piantato nel ghiaccio.
Il cacciatore si fermò ad una decina di metri, sguainò uno dei lunghi coltelli che portava alla cintura, lo bilanciò in mano e lo lanciò.
La lama sibilò nell’aria per un breve istante, poi si conficcò nel tronco per un buon palmo.
Lama Sicura estrasse l’altro coltello e lo porse a Delta.
Delta lo prese, lo bilanciò e fece un passo indietro. Scagliò quasi senza mirare.
Colpì il tronco un centimetro sotto l’altro coltello, entrando per quasi tutta la lama.
Un sorriso si aprì sul volto del cacciatore.
“Preparati per domani, Ombra che Cammina. Partiamo all’alba, stiamo via due settimane almeno. Fatti trovare pronto. I Mumak non aspettano”.

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Elgard
view post Posted on 23/2/2010, 14:41




avanti col prossimo brano, che anche io sono arrivato qui (poco più avanti) sono curioso di scoprire come si sviluppa, e come caccia ombra che cammina... :)
 
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Robibi
view post Posted on 23/2/2010, 19:15




Scusa se non ho commentato! Per ora mi ispira, sono curiosa di sapere come va avanti...mi piace com'è scritto!
 
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Discepolo dell'Arvadan
view post Posted on 24/2/2010, 08:49




...mattina troppo presta per una frase sensata. Aggiorno e torno a dormire...


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Tornò alla capanna, immerso nei suoi pensieri. Il gatto lo aspettava lì, sdraiato accanto al fuoco.
“Vartan” chiamò “devo parlarti”.
Il gatto mosse le orecchie, poi si stiracchiò, si alzò e balzò sul tavolo di fronte a lui.
Delta si sedette. Allungò una mano e iniziò a lisciargli il pelo.
“Domani partiamo all’alba, sulla pista dei Mumak” esordì, lo sguardo perso nel fuoco “sai cosa sto cercando, e cosa spero di trovare. Se non vuoi, non sei obbligato a venire...”.
Vartan si ritrasse. Lo guardò con aria offesa. C’era quasi rimprovero nei suoi profondi occhi gialli.
Delta sorrise.


Non si fece aspettare. Il sole lo colse già al centro del villaggio, mentre aiutava gli altri cacciatori a caricare gli yak. Sarebbero partiti in sette, gli dissero. Lui, Lama Sicura, Piede Leggero, Occhio di Fuoco, Neve che Cade, Mani di Ferro e poi, ovviamente...
“Già in piedi, straniero?”.
Delta espirò. Cercò con lo sguardo Lama Sicura, impegnato ad assicurare una borsa carica di cibo sulla groppa di uno degli animali.
“Ombra che Cammina verrà con noi, Settima Luna” disse il cacciatore, continuando il suo lavoro.
Il figlio del capo si avvicinò, lasciando cadere la borsa che stava portando.
“Davvero? E per qual motivo?”.
Non cercò neppure di nascondere l’ostilità nella sua voce. Lama Sicura alzò gli occhi.
“Primo, perché lo desidera. Secondo, perché ne è degno. Terzo, perché porta da sè il suo cibo. Quarto, perché possiamo imparare da lui. Quinto, perché nessuno è contrario. Hai altre domande?”.
Settima Luna aprì la bocca per rispondere, poi lasciò perdere. Non era il caso di mettersi a discutere, decise, non prima di una lunga caccia.
Poi vide il gatto.
Vartan era seduto sulla neve, a pochi passi dal gruppo, e li osservava attentamente, come volesse assicurarsi che tutto fosse preparato nel modo migliore.
“Vuoi portare anche lui?”.
Delta sollevò lo sguardo.
“Vartan è molto più di ciò che sembra, Settima Luna” disse, uno strano sorriso sul volto “non preoccuparti per lui”.
Il figlio del capo si sentì stranamente turbato da quello sguardo. C’era qualcosa nella voce dello straniero che lo rendeva inquieto...
Per la seconda volta, decise di cedere.
“Fa’ come vuoi” concluse, alzando le spalle “se poi muore però non venirti a lamentare”.
Il sorriso sul volto di Delta si allargò.
“Non temere” disse piano “non ti disturberò per questo”.


Avevano appena finito i preparativi quando arrivò Primo Inverno. Al suo fianco, una figura coperta di pelliccia camminava appoggiandosi ad un bastone, il volto coperto da una grande maschera dipinta.
Lo sciamano si avvicinò. Delta vide i suoi occhi correre nel gruppo dei cacciatori, e poi posarsi su di lui. Occhi vigili, rapidi, vivi. Non sembravano quelli di un vecchio...
“Fuoco nell’Anima” mormorò Piede Leggero al suo fianco “è qui per la benedizione”.
Lo sciamano arretrò di un passo, affidando il bastone a Primo Inverno. Si inginocchiò, voltandosi verso oriente per salutare il sole che si levava.
Il suo grido colse Delta di sorpresa. Si voltò verso Piede Leggero, esterrefatto.
“Ma è una ragazza!” mormorò.
“Di venti inverni” sorrise il cacciatore, senza voltarsi “Silenzio, non disturbiamo”.
Fuoco nell’Anima si levò in piedi, intonando una canzone solenne. Non era la lingua del suo popolo, riflettè Delta. Probabilmente nessuno tra i presenti capiva cosa dicesse, incluso lo sciamano. Lui stesso faceva fatica a riconoscere le parole, deformate dal passaggio degli anni e dalle voci di coloro che le avevano tramandate.
Ma la Lingua degli Eldar non ha bisogno di essere studiata. Perfino quando nè chi parlava nè chi ascoltava la conoscevano, il significato del messaggio risultava chiaro.
La voce di Fuoco nell’Anima innalzò un canto alla terra e alle potenze del cielo, agli spiriti del vento perché non ostacolassero i cacciatori e a quelli del sole perché illuminassero la loro strada. Chiudendo gli occhi, Delta poteva percepire il flusso del Mana scorrere attraverso la sacerdotessa, plasmato dalla canzone, e avvolgere i cacciatori.
Sorrise. Fuoco nell’Anima era giovane, ma non certo inesperta. Doveva trovare un’occasione per parlarle.
Poi il canto cessò. La sacerdotessa chinò il capo, poi si riscosse.
Si avvicinò al gruppo, facendo comparire una ciotola piena di polvere rossa da sotto gli abiti.
Uno alla volta, i cacciatori le si avvicinarono, lasciando che Fuoco nell’Anima tracciasse con la polvere rune di protezione sui loro volti, mormorando preghiere e incantesimi.
Delta era l’ultimo. Quando la sacerdotessa incrociò il suo sguardo, mentre scriveva i simboli, per un istante avvertì qualcosa dentro di lei, come una voce lontana.
La luce negli occhi di ghiaccio della giovane tremò per un istante, nel riconoscere una gemella nello sguardo dello straniero.
Completò il rituale in fretta, turbata da quanto aveva visto. Era anche lui uno sciamano? Aveva doni simili ai sui? Forse lui sapeva come...
La voce di Primo Inverno la riportò bruscamente al presente.
“Fortuna alle vostre lame, figli miei, e che la Dea vi accompagni”.
Le armi di sette uomini si alzarono a salutare il sole.

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Elgard
view post Posted on 1/3/2010, 09:32




letto! dai che adesso partono! e magari scoprirà qualcosa di più sulle rune del mana... :)
 
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Discepolo dell'Arvadan
view post Posted on 1/3/2010, 11:02




Un pezzo un po' più lento, ci mettiamo in marcia.

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Quattro ore dopo, il villaggio non era che un punto all’orizzonte, perfino per Occhio di Fuoco.
I cacciatori, sette uomini e cinque yak, avanzavano sul terreno ghiacciato con la sicurezza di chi ha percorso troppi sentieri per dubitare del suo passo.
Alla coda del gruppo, Piede Leggero e Neve che Cade avevano l’incarico di tenere d’occhio gli animali, e di assicurarsi che lo straniero non restasse indietro.
Nessuno dei due compiti sembrava però necessario, il primo perché gli yak erano ormai abituati alle lunghe marce di caccia e disciplinati quasi quanto i cacciatori, il secondo perché lo straniero pareva più resistente alla fatica di loro, e quasi insensibile al freddo. Perfino l’assurdo minuscolo animale che si portava dietro pareva non avere alcun problema: si era rifiutato di farsi portare da uno degli yak, che pure non avrebbero badato ad un peso come il suo; invece rimaneva nascosto nell’ombra di uno di loro, quasi fuggendo la luce solare, e teneva con facilità il passo dei cacciatori.
Così, Piede Leggero non impiegò molto tempo a decidersi ad assecondare la sua curiosità.
Si avvicinò allo straniero, che pareva immerso in chissà quali pensieri, fino ad arrivargli accanto.
“Ombra che Cammina?”.
Delta si riscosse, voltandosi verso il cacciatore.
“Ecco... non so se posso chiedertelo, visto che non l’hai detto neppure al capo, ma... da dove vieni? Cosa ti ha spinto fin qui?”.
Delta sorrise.
“Forse il nome Aurelian ti dice qualcosa...”.
Piede Leggero esitò, riportando alla mente i racconti degli anziani e dei viaggiatori.
“Aurelian... l’Impero in guerra...”.
Delta annuì.
“È lì che sono nato” disse “e da lì sono partito, quasi tre anni fa. Sto inseguendo uno spettro... lo spettro che avete conosciuto anche voi”.
Piede Leggero abbassò la voce.
“Cerchi anche tu... cerchi anche tu la città?”.
“La città?” il tono di Delta era cambiato, si era fatto più cupo “cosa... cosa sai della città?”.
Il cacciatore scosse la testa.
“So solo che c’è una leggenda che ne parla... che parla di una città in rovina tra monti di pietra nera... ma nessuno l’ha mai vista... o almeno, nessuno è mai tornato a raccontarlo... a parte...”.
Neve che Cade gli mise una mano sulla spalla.
“Non annoiare Ombra che Cammina con queste vecchie storie” esclamò “piuttosto, chiedigli della sua terra”.
Delta sorrise, iniziando a raccontare delle meraviglie del suo paese, della spettrale Torre Arvadan e della città di Telazar dove il grano cresce tre volte l’anno, anche sotto la neve, ma non gli era sfuggita la nota preoccupata nella voce di Neve che Cade, nè l’occhiata di rimprovero che aveva scoccato al suo compagno.


Più tardi quella mattina, quando il gruppo si concesse una sosta, Delta chiese il cambio a Piede Leggero. Il villaggio, anzi tutti i villaggi di quella regione, avevano tradizioni particolari, affascinanti, che dopo uno scambio di occhiate con Lama Sicura Piede Leggero spiegò allo straniero con abbondanza di particolari.
I nomi, per esempio, venivano assegnati ai ragazzi in occasione della loro prima caccia, durante la quale gli altri cacciatori valutavano quali fossero le caratteristiche e le abilità di ciascuno. Così, Piede Leggero aveva ottenuto il suo nome quando aveva colto alle spalle Lama Sicura durante una sosta (anche se in realtà quello era soltanto l’ultimo di una lunga serie di epiteti, per la maggior parte non adatti a diventare nomi), Occhio di Fuoco era famoso per la sua vista ed il colore dei suoi occhi, innaturalmente venati da una ragnatela di capillari, Lama Sicura non aveva mai mancato un bersaglio da quando sapeva lanciare un coltello, e così via.
“E Settima Luna?”.
Piede Leggero abbassò la voce.
“Settima Luna ha un duplice significato. È nato dopo sette lune, invece che dopo nove come tutti, e anche da uomo non gli è mai piaciuto aspettare...” gli scoccò un’occhiata “... però in caccia è un ottimo compagno. Secondo solo a Lama Sicura, se vuoi il mio parere...”.
Tacque un istante, riflettendo. Delta si accorse che sorrideva.
“Cosa aspetti? Lo so cosa vuoi chiedermi, Ombra che Cammina”.
Delta inclinò il capo.
“Cosa?”.
Il cacciatore sorrise, furbo.
“Fuoco nell’Anima. Ho visto come l’hai guardata...”.
Delta aprì la bocca, cercando di spiegarsi. Piede Leggero l’aveva colto alla sprovvista.
“Non ti preoccupare. Fa questo effetto a tutti” incalzò il cacciatore “basta uno sguardo... e sappi che gli occhi non sono meno belli del resto... ti lascio immaginare come ci siamo sentiti quando ci ha scartati tutti ed è diventata sciamano”.
“E questa è la parte che mi interessa di più” sorrise Delta “più ancora dei suoi occhi, Piede Leggero. Da chi ha imparato la magia?”.
Il cacciatore sorrise a sua volta.
“Davvero è questo che vuoi sapere? Non credo di poterti rispondere, non so nulla della magia...”.
“... nulla della magia...” Delta ripetè le parole a bassa voce, meditando tra sè. Poi , d’improvviso, cambiò argomento.
“Piede Leggero” esordì “come cacciate i Mumak?”.
Il volto del cacciatore si fece serio.
“Beh... non è certo facile” esclamò “non credo tu sappia quanto è grosso un Mumak. La prima volta che li vedi è sempre una bella sorpresa. Capisci subito che non puoi uccidere una cosa del genere con le lance o le frecce: ci vorrebbero moltissimi cacciatori, e a quel punto non potresti avvicinarti. Allora facciamo così...” la sua voce divenne un sussurro “... aspettiamo che una di quelle bestie si addormenti un poco distante dagli altri, e, quando dorme e non può scappare, quattro cacciatori si avvicinano e...” sguainò il coltello “... tagli le zampe alla base! E poi scappi, perché non hanno mica paura loro, sanno che possono schiacciarti e quando sono arrabbiati sono davvero pericolosi. Poi aspetti che si calmino, e che capiscano che quello che hai ferito non può muoversi. Dopo qualche giorno lo lasciano lì, e noi lo andiamo a prendere. Una volta sono rimasti per due settimane, Settima Luna stava iniziando a dare di matto...”.

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Discepolo dell'Arvadan
view post Posted on 12/3/2010, 10:36




...provo a continuare.


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Poco dopo un pranzo a base di carne secca scorsero il primo pascolo.
Delta lo vide per primo, con stupore di Occhio di Fuoco, una macchia di verde pallido nel deserto gelato.
Quando vi giunsero era quasi sera. Alcuni dei cacciatori iniziarono a costruire un riparo con le pelli trasportate da uno degli yak, mentre Lama Sicura e Neve che Cade cercarono tracce del passaggio dei Mumak.
Furono fortunati. A giudicare dallo stato dell’erba, un branco doveva essere stato lì non più di due giorni prima. Dato che i mastodonti si spostavano di pascolo in pascolo lungo il loro misterioso enorme percorso circolare, e si fermavano ogni volta per circa cinque giorni, con un po’ di fortuna li avrebbero raggiunti alla loro prossima sosta.
Lama Sicura sorrise, soddisfatto. Quella poteva essere, pensò tra sè, la caccia più breve degli ultimi anni...
Alzò gli occhi dal terreno. I suoi compagni avevano quasi finito di preparare il rifugio, ansiosi di concedersi un po’ di riposo.
Tutti tranne...
Frugò la valletta erbosa con lo sguardo. Trovò Piede Leggero e Ombra che Cammina quasi subito, il primo in piedi, il secondo seduto sui talloni e intento ad esaminare la pietra scura che si trovava al centro del pascolo.
Il capo dei cacciatori corrugò la fronte, dirigendosi verso i due. Che lo straniero perdesse tempo con le sue fantasie poteva anche accettarlo, ma se iniziava a distrarre i suoi cacciatori...
Bastò che si avvicinasse perché Piede Leggero si ricordasse dei suoi compiti e tornasse al lavoro. Delta invece lo aspettò, apparentemente interessato solamente alla pietra.
Quando il cacciatore fu a pochi passi da lui, Delta sollevò lo sguardo.
“Devo parlarti, Lama Sicura”.
Il cacciatore lo fissò interdetto. Parlargli?
“Ieri, dopo il pranzo, ho incontrato tuo figlio nel bosco”.
Lama Sicura annuì.
“Me ne ha parlato” disse, senza scomporsi.
“Ti avrà detto delle domande che gli ho fatto...”.
“Ascolta, Ombra che Cammina” il tono del cacciatore pareva vagamente irritato “non ho tempo per i giochi, ora. Che cosa...”.
“Sai leggerle?”.
Lama Sicura inclinò il capo.
“Leggere cosa?”.
“Queste. Vieni, vieni da questa parte”.
Il cacciatore ubbidì prima di rendersi conto di quel che stava facendo. Seguì con gli occhi il gesto dello straniero fino alla superficie scura della pietra, curioso di scoprire cosa nascondesse di tanto interessante.
Non aveva mai fatto caso ai segni, non ne aveva motivo. Ora che li osservava, in qualche modo gli ricordavano le rune che Fuoco nell’Anima gli aveva tante volte tracciato sul volto, con la differenza che invece di farlo sentire protetto gli trasmettevano un vago senso di disagio.
Si volse verso Delta.
“Tu sai cosa significano?”.
Delta fece scorrere il dito sulla pietra. Le rune si illuminarono di una debole luce rossastra al contatto con la sua pelle.
“Terra” lesse “Incontro. Abisso. Cammino. Continuare. Questa credo sia ‘molto tempo’. Disposte in questo modo significano...” fissò negli occhi il cacciatore “... a metà strada tra il mondo dei vivi e gli Inferi, ma ancora lungo è il tuo cammino...”.


Lama Sicura tacque per un istante. Prima che potesse riprendersi dallo stupore, gli altri cacciatori li chiamarono.
Il piccolo campo era ormai pronto, tre tende montate in cerchio con il lusso di un fuoco al centro. La legna del boschetto di pini, osservò Delta, ardeva sorprendentemente bene: pochi pezzi erano bastati a sciogliere abbastanza neve da permettere una zuppa di carne.
Durante la cena gli uomini parlarono molto, di buon umore per via delle tracce fresche. I discorsi ruotavano tutti intorno alla caccia, agli estenuanti inseguimenti dei branchi dei pachidermi, alla vita dura nel deserto gelato. Delta raccontò del suo paese e di prede diverse, della reale caccia al cervo, del cinghiale, e delle battute contro le bestie delle terre selvagge.
Pure, solo Lama Sicura pareva veramente interessato. La caccia, per gli altri, era solo un modo per ottenere cibo, per sostentare il villaggio, ma per il capo del piccolo gruppo era qualcosa di più.
Mentre parlava delle tecniche usate per catturare i mostruosi Wyrm , negli occhi dell’uomo vide una fredda luce, la stessa luce che, anni prima, aveva scorto nello sguardo del suo maestro, la prima volta che era sceso in battaglia.
Lama Sicura era, ancora prima che un uomo, un cacciatore. Da quando aveva ottenuto il suo nome, scoprì in seguito, non aveva mai perso una sola occasione per uscire dal villaggio in cerca di prede.


Mentre il gruppo si coricava, il capo dei cacciatori prese Delta in disparte.
Si allontanarono di qualche decina di passi dalle tende, verso il luogo dove erano legati gli yak.
Lama Sicura guardò in alto, verso il cielo ingombro di nuvole.
“Nubi nel cielo e nubi nell’animo, Ombra che Cammina. Devo parlarti”.
Si sedette sull’erba, invitando l’altro a fare altrettanto.
“Per prima cosa” riprese “mi piacerebbe sapere il perché del tuo nome...”.
Delta sorrise, il volto nascosto nel buio.
“E a me piacerebbe potertelo dire, Lama Sicura. Ma per ora è meglio tacere...”.
Il cacciatore lo fissò negli occhi, poco convinto.
“Il tuo nome ti appartiene” disse poi “accetto la tua decisione...”.
Spostò lo sguardo verso l’orizzonte, immerso per un attimo nei propri pensieri.
Quando parlò di nuovo, la sua voce sembrava quella di un’altra persona.
“Ombra che Cammina” mormorò “cosa sono quelle pietre?”.
Delta abbassò gli occhi.
“Non lo so” ammise.
Sentì su di sè lo sguardo dell’altro. Era incredulità quella che percepiva? Oppure un principio di ostilità?
“Non so neppure di che cosa siano fatte” riprese “prima ho provato a staccarne un frammento, ma non c’è modo neppure di scalfirle. Non so come possano essere state incise in modo così preciso, nè chi o perché l’abbia fatto... ero qui per cercare risposte, ma ho trovato solo altre domande...”.
Lama Sicura taceva. Fino a che punto lo straniero gli aveva detto il vero? Era possibile che sapesse il significato di quei segni ma non conoscesse il loro autore? Possibile, decise. Possibile ma improbabile.
E se lui sapeva, allora forse...
Pazienza, pensò. Pazienza. Non doveva essere avventato. Il ricordo di quanto era successo tre anni prima era ancora molto vivo in lui. Era meglio parlare prima con Primo Inverno... ed essere cauti.

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Robibi
view post Posted on 14/3/2010, 10:51




Eccomi! Chiedo scusa se non ho più scritto, ero rimasta indietro per colpa dell'esame di biologia molecolare!!
Prosegui pure!
 
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Discepolo dell'Arvadan
view post Posted on 14/3/2010, 21:53




Biologia molecolare è una scusa valida, direi ^^ andiamo avanti...e rispondiamo alla curiosità dell'Elgard...


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La tormenta li sorprese a metà della seconda mattina. Nonostante la loro esperienza, quella volta le nuvole erano state troppo veloci anche per i cacciatori.
Si trovarono in balia del vento nel bel mezzo del nulla. Le raffiche polverizzavano il sottile strato di neve sul terreno in minuscoli frammenti che finivano sollevati e soffiati addosso al gruppo come milioni di minuscoli aghi.
“In cerchio!” Settima Luna urlava per sovrastare il fragore del vento “Mettete gli yak in...”.
Tacque di colpo, vedendo Delta in piedi davanti a lui, ritto come se il vento non lo impensierisse.
Pareva quasi divertito.
Settima Luna aprì la bocca, ma Delta lo zittì con un cenno.
“Silenzio” gli disse “ascolta!”.
Il cacciatore esitò un istante. Per un attimo fu sul punto di saltare alla gola dello straniero.
Poi finalmente udì.
Restò paralizzato per quella che gli sembrò un’eternità, senza fiato, colpito dall’enormità di quello che sentiva come da un maglio.
Voci! Voci nel vento! Lamenti in una lingua che non riconosceva, e che pure in qualche modo...
Un brivido gli corse lungo la schiena, quando nel turbine di vento che lo avvolgeva percepì qualcosa che lo fissava. Tra il vento e la neve polverizzata, per un attimo intavide una sagoma, uno spettro che gli guizzò accanto, frenetico, prima di perdersi nella tormenta.
Poi, rapida com’era venuta, la tempesta cessò, allontanandosi verso sud. Alla luce del sole nuovamente spuntato, Settima Luna vide un cerchio di simboli tracciati sulla neve intorno al gruppo, che scintillarono luminosi per un attimo prima di sparire.
Ad un passo da lui, Delta si rimise i guanti. Quando li aveva tolti? Non lo aveva notato...
Fissò lo straniero. Si accorse subito di non essere il solo.
“Che cos’erano, Ombra che Cammina?”.
Delta si voltò. Pareva stranamente affaticato.
“Parli dei simboli, Occhio di Fuoco? Solo una forma di protezione. Come quelli di Fuoco nell’Anima. Dov’è Vartan?” disse, cercando con lo sguardo tutto intorno.
Il gatto comparve da dietro uno yak. Teneva in bocca qualcosa... un brandello che Delta raccolse e fece rapidamente sparire nel mantello.
“Parlo delle voci, straniero” questa volta era Mani di Ferro a parlare “delle cose che abbiamo sentito”.
Delta inclinò il capo. C’era una luce strana nei suoi occhi, sinistra.
“Voci nel vento, dite. Non è il nome di uno di voi?”.
Mani di Ferro scosse la testa “Voce nel Vento è solo un vecchio...”.
Non finì mai la frase. Con un gesto fulmineo, Lama Sicura lo colpì violentemente allo stomaco. Mani di Ferro gemette, piegandosi in avanti, le mani sull’addome. Cadde di faccia nella neve, il volto contratto in una smorfia di dolore.
Lama Sicura tremava di rabbia. Si chinò, mormorando qualcosa all’orecchio del suo compagno. Mani di Ferro annuì col capo, debolmente, mentre Neve che Cade lo aiutava a rialzarsi.
L’incidente pose fine alle discussioni. Quando Delta, dopo che furono ripartiti, chiese spiegazioni a Piede Leggero, ottenne in risposta solo un’alzata di spalle.


Occhio di Fuoco fece cenno di avvicinarsi. Sottovento, e riparati dai monticelli di neve, i cacciatori si avvicinarono strisciando al branco.
I Mumak erano a poche decine di metri da loro, enormi montagne di carne, le pellicce scure visibili a chilometri di distanza sul bianco del suolo.
Erano davvero enormi, riflettè Delta. I più grossi dovevano essere alti almeno dieci metri, anche se da quella distanza e senza punti di riferimento era difficile valutarne le dimensioni.
Il branco era composto da una dozzina di esemplari, per la maggior parte adulti. Al momento parevano occupati a strappare con la proboscide l’erba bassa, ma da come alcuni di loro si guardavano intorno sembrava quasi che avessero capito che qualcosa non andava.
Strisciò fino ad arrivare a pochi passi da Lama Sicura.
“Avete già scelto?”.
Lama Sicura indicò un animale sul bordo del pascolo.
“Quello. Quello con la zanna spezzata”.
Delta si voltò verso il branco, poi si rivolse di nuovo al cacciatore.
“Perché non quello più grosso al centro?”.
“Perché è il capo” si intromise Settima Luna “basta guardarlo. Se abbattiamo quello, il resto del branco non lo lascerà finchè di lui non resteranno che le ossa, e anche allora se ne porteranno via qualcosa per ricordo. Dobbiamo mirare ad uno debole, di cui non sentiranno la mancanza. La caccia non è solo prendere il più grosso, straniero”.
Delta tornò a fissare gli animali, immerso nei suoi pensieri.
“Quello con la zanna spezzata, allora... molto bene...”.


Quella notte, il vecchio Mumak si sentiva stranamente inquieto.
Cos’era che lo turbava? Cacciatori? No, non aveva mai temuto i piccoli uomini, il suo udito finissimo lo aveva sempre salvato dalle loro lame affilate.
Scosse la testa, nel tentativo di scacciare quella sensazione. Invano.
Poi, poco alla volta, vide accanto a lui un’ombra uscire dal buio. Capì subito che degli uomini aveva solo la forma esteriore, come la piccola creatura che lo accompagnava aveva solo la forma dell’animale.
L’ombra gli si avvicinò, senza rumore. Quando posò la mano sulla sua proboscide, dal lato in cui gli mancava metà della zanna, il Mumak non cercò di ritrarsi.
Il contatto gli trasmise un senso di vuoto, di freddo. O forse era solo consapevolezza...
La creatura d’ombra iniziò lentamente ad accarezzarlo, quasi cercasse di consolarlo.
“Sai perché sono qui, fratello mio”.
Non era una domanda. I grandi profondi occhi dell’animale si velarono di tristezza.
“Sai perché lo faccio... capisci che è necessario...”.
Il Mumak chinò la grossa testa.
Lo capiva.
“Ascoltami, fratello mio” riprese l’ombra, alzando la testa per guardarlo negli occhi “ti faccio una promessa. Tu non morirai mai. Nulla di te andrà perduto. Nulla. Meglio così che sepolti nella neve, non pensi anche tu? Ti prometto... ti prometto che non sentirai dolore...”.
L’ombra esitò, scorgendo negli occhi del Mumak un brillare che sul volto di un essere umano avrebbe chiamato lacrime.
“Andiamo” disse piano “è tempo di salutare la tua famiglia...”.


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Robibi
view post Posted on 23/3/2010, 19:54




Fino a qui mi piace molto! E' scritto bene! Sei pregato di mettere il seguito! :D
 
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Elgard
view post Posted on 24/3/2010, 20:09




woo, carino l'ultimo pezzo! vediamo il seguito!
 
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25 replies since 13/2/2010, 10:33   204 views
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